Gli organi di stampa hanno evidenziato in questi giorni diversi casi attribuibili alla cosiddetta “febbre da topo“.

Quest’ultima è una zoonosi cagionata dagli hantavirus, un genere di virus ad RNA che racchiude varie specie virali presenti in tutto il mondo. Il serbatoio di questi patogeni è costituito da diverse specie animali, molte delle quali appartenenti all’ordine dei roditori. Le specie più importanti per la trasmissione del patogeno sono i roditori forestali, come il topo selvatico e l’arvicola rossastra, ma anche i ratti possono essere serbatoi del patogeno. La malattia si trasmette con contatto di escreti dei roditori o tramite inalazione di aerosol infetto.

Le notizie diffusesi nelle ultime ore hanno riacceso e non poco i riflettori sull’importanza dell’attività di gestione dei roditori. A tale proposito A.N.I.D. ha intervistato il professor Dario Capizzi, funzionario della Regione Lazio e docente di Conservazione degli ecosistemi presso l’Università della Tuscia, coautore del volume “I Roditori italiani”.

«La malattia non è una novità – spiega Capizzi all’Associazione Nazionale delle Imprese di Disinfestazione – Anzi è nota da alcuni decenni. Addirittura, con indagini retrospettive è stato possibile ricostruire che alcune epidemia verificatesi nella prima metà del secolo scorso, all’epoca attribuite ad altri patogeni, erano proprio dovute agli hantavirus».

La possibilità che le infezioni da hantavirus possano trasformarsi in una nuova pandemia, dopo l’emergenza sanitaria da covid-19, genera diverse preoccupazioni.

Il professor Dario Capizzi su questo versante predica prudenza e cautela nei ragionamenti:
«Purtroppo, siamo tutti condizionati da quanto accaduto negli ultimi tempi ma tenderei ad escludere possibili legami fra infezioni da hantavirus ed una nuova pandemia, almeno sulla base delle evidenze fino ad oggi disponibili: nella letteratura scientifica non sono finora noti casi di trasmissione da persona a persona della specie virale presente in Europa. Certamente, ci segnala l’importanza di effettuare attività di gestione dei roditori che, non va dimenticato, sono vettori di numerosi altri patogeni».

Il professor Dario Capizzi si è infine soffermato su eventuali rischi a cui potrebbero essere esposti gli operatori del pest control:
«Le evidenze ad oggi disponibili indicano che le specie di roditori più importanti come serbatoio non sono quelle sinantropiche ma quelle forestali – sottolinea il funzionario regionale e docente universitario – Tuttavia, è noto che anche i ratti possono veicolare questi patogeni. Quindi, come sempre quando si opera con animali potenzialmente vettori di malattie, il rischio esiste, sebbene sia difficile quantificarlo. L’esposizione per gli operatori potrebbe verificarsi durante il controllo delle postazioni, venendo a contatto con gli escreti, o nei luoghi che ospitano popolazioni di roditori molto abbondanti. Tuttavia, operando con le opportune precauzioni è possibile ridurlo significativamente. E’ quindi il caso di utilizzare i guanti nelle operazioni di controllo delle esche o delle trappole, e di proteggere le vie aeree con mascherine provviste di filtri adeguati quando si fanno ispezioni in luoghi particolarmente infestati da roditori. Ricordiamo che queste precauzioni sono efficaci per proteggere gli operatori anche da altre infezioni veicolate dai roditori».